CHILONE, IL NOSTRO EROE

CHILONE, IL NOSTRO EROE

Fabio Revello

Aulo si sedette nella poltrona della sua dimora e aspettò. Era il giorno del suo compleanno, per esattezza del suo cinquantanovesimo compleanno. Aspettò che qualcuno gli facesse degli auguri o solo un saluto; ma la gente non gli scambiava neppure uno sguardo. Era ricco, lui, Aulo, ma non gli piaceva perché i Quiriti pensavano che era malvagio, dato le sanguinose frustate recapitate sugli schiavi. -Ma cosa si può fare per passare il tempo, qui nel I secolo!? – Pensava. Andò nel cubliculum e, preso dalla rabbia spaccò la testa di uno dei suoi schiavi sullo spigolo del letto. Un altro schiavo che aveva assistito alla scena provò invano a trattenere un urlo di paura. Aulo disse : – Hai voglia di gridare anche sotto tortura? –
Chilone, questo era il nome dello schiavo, non rispose.
Quando Aulo se ne andò, Chilone, distesosi per terra, piagnucolò.
Di certo al posto che piangere avrebbe voluto rendergli pan per focaccia ma questo, purtroppo, solo nei suoi sogni. Restò lì. Fermo. Immobile. In silenzio.
Tutto d’ un tratto si alzò e, con gli occhi pieni di ribellione, infilò un pugnale in tasca.
– Basta! I momenti in cui si prendeva in giro la mia vita sono finiti! Non sono solo. Molti altri ianitor come me aspettano da anni l’ avvenimento della ribellione, ma fino ad ora non è successo perché non c’era nessuno disposto a guidarci verso la guerra. Ma ora, ora quell’uomo l’hanno trovato! – Disse.
Un nomenclator che, di nascosto aveva visto e udito tutto, domandò: – E chi sarebbe?
– Io. –
– Tu?-
– Non abbiamo tempo: vai e comunica agli schiavi di Nerone di riunirsi quest’ oggi e di venire qua. Dì anche che nella via del ritorno radunino altra gente.-
Questo fu detto, questo fu fatto.
Infatti il nomenclator, per coprirsi il viso, si mise una giacca col cappuccio. Uscì di corsa e, col fiato sospeso, arrivò davanti alla possente casa di Nerone. L’ imperatore stesso lo vide. Il nomenclator si chiamava Augusto e costui alla vista di Nerone impallidì. – Chi sei? – Domandò Nerone. Augusto fece un profondo inchino e rispose: – Sono un tuo schiavo. – Mentì. – Entra pure che devi lucidare dei vasi asiatici al secondo piano. Augusto entrò nella lussuosa casa e di corsa andò in cantina a chiamare gli altri schiavi.
Li vide e, tale la sua compassione nel vederli così ridotti come stracci, premette le loro mani sulle sue labbra.
Poi riferì la notizia. Tutti accolsero la proposta clamorosamente, tutti tranne uno. Costui si chiamava Annibale e veniva dall’ Egitto. Annibale poggiava l’età sui quarant’ anni e non accettò perché era dell’opinione “Ci sono i ricchi e i poveri”. E quindi disse: – Noi siamo poveri e dobbiamo rispettare i ricchi.
Ma Annibale non era un problema perché gli altri schiavizzati non la pensavano come lui.
Augusto, senza farsi vedere, distribuì armi, tra cui coltelli, pugnali, flagelli, clave.
Annibale cercò di opporsi ma ricevette un colpo di frusta seguito da una pugnalata e cadde a terra, morto.
Ormai la ribellione era implacabile. Restarono in cantina in attesa del capo, Chilone, il quale non si sentiva bene. Aveva una sensazione strana, quasi di sgomento.
Alla fine, preso il pugnale, si avviò. Raggiunta la casa di Nerone, per non essere visto passò dal retro. In silenzio, con centodieci schiavi alle spalle e con degli incoraggiamenti si incamminò nel salone principale dove scorse il famoso imperatore. Seguitarono poi schiamazzi, urla e grida da gelare il sangue. Nerone si scansò prima che qualsiasi arma potesse ucciderlo. Si rifugiò nella parte centrale della città, rotolando poi nel fieno di un nobile che si curò di trattarlo con tutte le cure visto la persona capitatagli davanti. Lo dissetò, lo nutrì e subito gli porse delle domande: – O mio divino, qual buon vento ti porta qui?
– Una giornata nefasta più che altro.
– Spiegati meglio.
– Quei trucidi dei miei schiavi hanno tentato di uccidermi, ma io li ho seminati venendo qui, quindi ti devo un favore. Se vivrò dedicherò a te un banchetto e ti regalerò trecento delle mie perle egiziane.
– Oh grazie, non saprei come ricambiare.
– Ora pensiamo ad altro. Ci sono più di cinquecento schiavi che mi vogliono ammazzare e questa non è una cosa bella.
– Concordo pienamente, ma io non posso farci niente Nerone, sai com’ è la vita.
Nerone, forse perché era un po’ scosso da quelle parole, protetto da una spada, se ne andò in aperta campagna dove nessuno potesse trovarlo.
– Chilone e i suoi parvero sorpresi nel non vedere Nerone da qualche parte della città poiché si stava facendo tardi. Si riunirono per decidere il da farsi.
– Lo aspetteremo a casa sua.- Propose uno. – Faremo un’ imboscata-. Disse un altro.
– Calma, gente, calma. Io proporrei di ribellarci anche su altre persone come ad esempio Aulo o Petronio. Alla fine, anche se un po’ a malincuore, si scelse l’ ultima idea.
La casa di Aulo era possente, vista da fuori sembrava quasi una decina di Minotauri messi insieme. Al centro c’era un grosso impluvium ornato da anemoni ed iris accarezzati dalla brezza del vento scirocco. La villa era circondata da un bel giardino che rincorreva il sole al tramonto come un cane e una farfalla.
A quei tempi non era facile avere una casa così. Le statue erano talmente alte che stentavi a vedere la cima. Il più delle volte raffiguravano Nerone. Si, lui, Nerone. Colui che uccise sua madre, colui che assassinò sua moglie, colui che pugnalò i suoi figli, colui che fece incendiare la sua città. Quel bamboccio che si crede il re del mondo ma che non è altro che un mostro assetato di potere e di sangue.
La casa descritta prima fu assediata e Chilone uccise chiunque e qualunque cittadino osasse interferire sulla missione.
Appena Aulo si accorse che la sua casa era stata assediata senza pensarci una volta e dicendo tra sé e sé che ormai era troppo tardi si buttò dalla finestra finendo poi per cadere per terra: Aulo era morto.
Augusto, Chilone egli altri schiavi scapparono e andarono nella loro base segreta, il fiume Tevere. Augusto disse: – Non c’è alcun gusto se si uccidono prima che lo facciamo noi. – Hai ragione. Non possiamo andare avanti così, dobbiamo per forza inventarci uno stratagemma efficace. Comunque sia andiamo a dormire, è troppo tardi. Domani decideremo il da farsi. Ogni individuo schiavizzato prese e andò via dal Tevere con un passo matematicamente regolare. Il giorno dopo Chilone propose di nuovo una geniale idea: – Quest’oggi, mentre assaporavo l’aria mattutina mi venne in mente: noi non riusciamo ad ammazzarli visto che loro si suicidano prima, pur di non essere assassinati. Quindi potremmo far in modo che loro non riescano ad uccidersi. – Ma come facciamo? – Semplice. Dovremmo riuscire a coglierli di sorpresa. – Bene, ottima idea. Rispose Augusto – Si, concordo anch’io. Ripose il fratello di Annibale, che non sapeva della sua morte.
Nel seguente pomeriggio fecero come accordato: entrarono tutti nella casa di Petronio, visto che costui era in giro a fare compere. Rimasero lì, nascosti ad aspettarne il ritorno. Quando il padrone di casa arrivò nella sua dimora spalancò le labbra pensando al peggio. Comunque Petronio non temette per sua morte, ma temette il pianto di sua moglie. Uno sguardo atroce, un pugnale alzato e la morte sul suo viso. Ormai era tutto finito. Le gocce di sangue non smettevano di colare dal pezzo di ferro che in così poco tempo uccise una persona di così tanto valore.
Altri assassini seguitarono questo, come la morte di Tigellino, celebre organizzatore di feste e giochi di Nerone.
– Orsù! La vita dove mi porta, dove?
Queste furono le parole, le rattristanti parole, dette dall‘ imperatore, vivo ancora per miracolo. Si accorse, solo dopo un lungo tempo, di parlare da solo, se non al vento circostante.
Intanto il delirio invadeva la città messa a soqquadro prevalentemente per vendetta
dai ribelli che ingrossavano a vista d’ occhio.
Gli ultimi ricchi ma poveri di vita rimasti si riunirono segretamente all’ insaputa di tutti, compreso Chilone.
– Dobbiamo fare in modo da restare in vita finché si può – disse uno. Un altro disse: – Ho un’idea: se vi va bene potremmo chiedere un favore ai re mesopotamici o a quelli Palestinesi . Tutti accettarono entusiasticamente la proposta fatta.
Quindi si inviò una lettera con scritto:

Carissimo Agrippa I, siamo lusingati di scriverle questa lettera, comunque, arrivando subito al sodo: sareste degno di farci questo onorevolissimo favore che consiste nel prestarci una piccola parte del vostro esercito per eliminare un nostro grave problema?

Firmato
Amici di Nerone

La lettera fu inviata tramite un fido nipote.
Nel mentre i ribelli andavano moltiplicandosi: la città era ormai in sciagura, i cittadini lottavano con loro stessi per capire da che parte stare: i ricchi non erano da seguire perché maltrattavano i poveri, i poveri non erano da seguire perché adesso maltrattano i ricchi.
Presto arrivarono i soldati dell’esercito di Agrippa I, non aspettarono un minimo secondo e si diedero a combattere con tutte le persone che trovarono. I ricchi erano stati attenti e furbi perché per farsi riconoscere si erano messi una spilla rossa sul petto. Presto la battaglia finì: i ricchi vinsero.
Chilone che era rimasto vivo disse: – tutto il sangue versato, tutto lo sforzo dei miei compagni e ancora non abbiamo vinto. Fra mezzi pianti una voce gli rimbombò nella testa: – Come fai tu ad avere così tanta paura per le parole del tuo padrone e nello stesso tempo avere un coraggio così grande che hai addirittura guidato i tuoi compagni alla libertà? Come?!
E subito una pugnalata al cuore e Chilone, il nostro eroe morì.

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